Le ceneri del passato
Avec mes souvenirs j’ai allumé le feu – con i miei ricordi ci accendo il fuoco. C’è molto in questo breve verso della canzone di Edith Piaf Non, je ne regrette rien. Quando la cantò per la prima volta all’Olympia a Parigi, nel 1960, era già una donna devastata dal dolore, dalle droghe e dalla malattia, ma era palese il desiderio di liberarsi del proprio passato per rinascere. E artisticamente rinacque, ma il corpo la abbandonò di lì a poco.
Prendere i propri ricordi e farci un falò: non penso ci possa essere qualcosa di più esaltante del ricominciare da zero: cancellare una lavagna e su quel nero ardesia ricominciare a scrivere qualcosa di nuovo. Quei ricordi però, anche se ridotti in cenere, sono lo scheletro su cui si appoggia ogni nuovo atto, ogni nuovo gesto e, come le stoppie bruciate che curano e fertilizzano la terra, anche le ceneri dei ricordi fertilizzano la nuova vita e ne diventano linfa. Il passato cambia forma ma non scompare, mai.
Bruciare i ricordi significa rompere con una tradizione e, ad un certo punto, il volume del proprio passato va riposto nello scaffale che gli spetta, poiché quel bagaglio è già parte di noi, come un libro letto.
La produzione ceramica della mia famiglia, in più di 140 anni di vita, ha trovato la propria linfa creativa nello Storicismo e, all’inizio del mio lavoro, anche io ne sono rimasto soggiogato per tradizione, ma quelle Dame e quei Cavalieri erano presenze ormai mute di un passato ancora più silente. Era venuto meno anche il piacere della copia. Il rapporto saussuriano fra significato e significante era inesistente e un’arte muta non ha referente, quindi è inutile.
Ho preso perciò il libro del mio passato e, dopo averlo letto e riletto, gli ho concesso un pezzo del mio cuore. Ora è lì come potente energia che trasformo. Se non la trasformassi sarei la parodia di me stesso e di chi è venuto prima di me.
Crediti foto: http://faremusic.it/